Ecologia del desiderio di Antonio Cianciullo
Antonio Cianciullo è giornalista di«la Repubblica » e per conto del giornale segue da trent'anni i temi ambientali.E' autore del blog l'EcoLogico
Scrive di se:oggi mi occupo di comunicazione della questione ambientale perché credo che, dopo la fase della denuncia, una sorta di lunga “opposizione”, l’ambientalismo debba accettare la sfida del governo di una società complessa e piena di contraddizioni come quella in cui viviamo."
L'ho contattato per avere un suo saggio o articolo da pubblicare nel mio sito e mi ha autorizzato a ripubblicare suoi scritti o sue interviste,citando la fonte da cui è preso il testo o il video.
Ho voluto pubblicare alcuni video che affrontano gli argomenti d'esame di terza media.I video sono tratti dal blog l'Ecologico di Antonio Cianciullo.
http://www.antoniocianciullo.it/portfolio/16526/
Nel blog eco-logica di Repubblica curato da Antonio Cianciullo ci sono tanti articoli interessanti: io ne ho selezionati alcuni ma vi invito a collegarvi al blog per una visione completa
Gli articoli sotto riportati sono tratti da http://cianciullo.blogautore.repubblica.it/
Emergenza climatica
La parola ormai è inflazionata, un timbro che certifica la sconfitta della capacità di prevenire: in assenza di azioni correttive tutto diventa “emergenza”. Questa volta però il sostantivo è accompagnato da un aggettivo che gli dà una forza inusuale: climatica.
Non che la crisi climatica sia giunta inattesa: da decenni gli scienziati si sgolano per spiegare che, se non si chiude il rubinetto dei combustibili fossili, gli ecosistemi su cui si fonda la nostra vita sono destinati a collassare. Ma la portata del cambiamento richiesto è tale da giustificare l’uso di questo termine.
Anche questa volta comunque il nodo da sciogliere è la lentezza nella reazione. Siamo in emergenza climatica perché continua a esserci un deficit di comprensione della portata del processo in corso e dei suoi effetti. E perché finora ha dominato la schizofrenia: con la sinistra si è cercato di porre distrattamente rimedio, mentre con la destra si continuavano a finanziare generosamente i meccanismi che alimentano il disastro (vedi i 19 miliardi di sussidi che l’Italia dona ogni anno a chi sostiene attività ad alto impatto ambientale).
Ora la Camera ha finalmente approvato una mozione, prima firmataria Rossella Muroni, che riconosce l'emergenza climatica e impegna il governo a dichiararla. Un atto che allinea l’Italia all’indirizzo di politiche economiche su cui punta la nuova Commissione europea: la questione ambientale è centrale e risolutiva solo se diventa la chiave di lettura anche degli altri problemi in cui siamo immersi, dall’immigrazione alla difesa delle fasce sociali più deboli.
Economia circolare a rischio
Lo abbiamo visto anche con il varo della Commissione: l’Europa spinge sempre di più verso la sicurezza climatica e l’economia circolare. L’Italia però rischia di essere d’accordo solo a parole: la raccolta differenziata cresce arrivando a sfiorare il 59% nel 2018, ma la capacità di trattare la materia selezionata resta al palo. E’ il quadro che emerge dall’Annual Report 2019 di WAS, il think tank sulle strategie di gestione dei rifiuti di Althesys. Nell’arco dei prossimi 15 anni dovremo arrivare a riciclare il 65% di rifiuti urbani e a mantenere l’afflusso in discarica entro il tetto del 10%. Destinando il rimanente all’incenerimento con recupero energetico.
Ma i numeri non tornano. Resta alto il deficit di trattamento dei rifiuti alternativo alla discarica: gli impianti per la frazione organica sono mal distribuiti sul territorio costringendo gli avanzi dei nostri pasti a viaggiare per centinaia di chilometri; e, in assenza di interventi di ammodernamento, al 2035 si perderà circa metà dell’attuale capacità di termovalorizzazione. Inoltre i ritardi nella definizione del cosiddetto end of waste (il passaggio da rifiuto a materia utilizzabile) mette a rischio gli investimenti mirati ad accelerare il tasso di circolarità dell’economia. Uno scenario ben diverso da quello disegnato dall’Unione europea.
11 mila scienziati per la difesa del clima
Nel 1979 a Ginevra si è tenuta la prima conferenza sul clima. Beh, non si può dire che i 40 anni trascorsi da quel momento siano stati formidabili dal punto di vista dei risultati: gli indicatori ambientali indicano una salda tendenza al peggioramento. Le emissioni serra continuano a crescere nonostante le dichiarazioni dei capi di stato e di governo. Foreste, zone umide e ghiacciai si ritirano lasciando spazio all’avanzata dei deserti e di periferie desolate. La concentrazione di CO2 in atmosfera ha superato le 410 parti per milione, un valore in linea con un pianeta privo della specie che si è autodefinita sapiens. Ci avviamo a superare il muro dei 10 miliardi di esseri umani. L’equilibrio dei principali ecosistemi scricchiola.
Eppure non mancano segnali in controtendenza. Nel 2019 per la prima volta i millennials si sono presi le piazze del mondo per dire che loro un futuro lo vogliono. Le fonti rinnovabili crescono. Il tasso globale di fertilità decresce. Molti fondi internazionali cominciano a disinvestire dai combustibili fossili.
L’elenco delle buone notizie è più breve di quello delle cattive notizie. Ma si allunga. Ed è possibile accelerare il processo virtuoso. Undicimila scienziati hanno firmato un appello per aumentare la sicurezza climatica. Un obiettivo forte in un mondo che fatica a trovare valori.
Cinque mosse per la sicurezza climatica
Efficienza, fonti rinnovabili, riciclo della materia e stili di vita più ragionevoli. Sono i quattro caposaldi della svolta necessaria a frenare la crisi climatica, cioè a emettere meno gas serra. E’ già un compito impegnativo, non per mancanza di tecnologie né di convenienza economica ma per le resistenze della vecchia economia e per i ritardi della politica. La tentazione dunque potrebbe essere fermarsi qui: c’è già abbastanza da fare. E se potessimo limitarci a evitare un peggioramento della situazione sarebbe sufficiente.
Ma la quantità di CO2 nell’atmosfera è già troppo alta e, anche nel più roseo degli scenari previsti, continuerà a crescere per decenni: l’obiettivo che oggi appare più avanzato, azzerare le emissioni al 2050, vuol dire che comunque per altri 30 anni accumuleremo altra anidride carbonica in un cielo già saturo oltre il limite di sicurezza. Se gli uragani continueranno a seminare danni crescenti e gli oceani accelereranno la loro risalita potremo permettercelo? Con ogni probabilità oltre a chiudere il rubinetto dei veleni bisognerà cominciare a eliminare una parte di quelli prodotti. E quindi aggiungere un quinto elemento alla ricetta: riforestare, cioè catturare una parte del carbonio che abbiamo incautamente spostato dai grandi depositi fossili del pianeta all’atmosfera.
Come molti studi hanno mostrato, sarebbe pericoloso provare a raggiungere questo risultato attraverso la geoingegneria: seminare alghe negli oceani o piazzare specchi orbitanti nello spazio comporta un aumento, non una diminuzione del rischio di sbilanciamento degli ecosistemi vitali. L’unico strumento sicuro perché testato in centinaia di milioni di anni è consolidare e aumentare la dote verde del pianeta.
Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’università di Firenze, ha sposato questa tesi scrivendo su Repubblica che la deforestazione dovrebbe essere trattata come un crimine contro l’umanità: “Puniamo molto severamente ogni potenziale tentativo di proliferazione delle armi atomiche: dovremmo riservare lo stesso trattamento a chi taglia i polmoni del pianeta”. E’ un rischio che appare chiaro quando in Amazzonia, dopo l’elezione di Bolsonaro alla presidenza del Brasile, si moltiplichino i roghi nella foresta pluviale. Rovesciando il ragionamento in positivo, il discorso vale anche nelle nostre città.
Renderle più verdi vuol dire non solo sottrarre CO2 all’atmosfera ma anche ridurre lo smog, diminuire l’impatto sanitario della crisi climatica, controllare meglio il flusso dell’acqua durante le piogge che diventano sempre più violente. Sono vantaggi che possono essere tradotti in denaro, anche se, essendoci molte vite in ballo, la valutazione economica non può misurare tutti i benefici in gioco. Secondo Francesca Neonato - docente di Botanica ambientale al Politecnico di Milano e coautrice di Oro verde: quanto vale la natura in città – un parco urbano storico di ampie dimensioni, come Villa Borghese a Roma o Parco Sempione a Milano, regala ai cittadini benefici che possono essere valutati in 4,5 euro per metro quadrato all’anno, Cioè, nel caso di Villa Borghese, 3,6 milioni di euro l’anno. Un giardino di quartiere vale attorno ai 3 euro a metro quadrato l’anno. Mentre un tetto verde arriva a 40 euro a metro quadrato calcolando i risparmi nella bolletta energetica.
Suggerimenti che cominciano a diventare operativi. Nell’agosto scorso il Comune di Milano – nel quadro del progetto europeo Horizon 2020 Clever cities - ha deciso di concedere un contributo per la realizzazione di tetti e pareti verdi e per la creazione di aree green nei cortili. Anche perché, come ricorda Nada Forbici, presidente di Assofloro, i tetti verdi aumentano l’isolamento del lastrico solare fino al 42%, e riescono ad assorbire fino al 50% di acqua piovana attenuando gli effetti delle bombe d’acqua.
Grazie ad Antonio Cianciullo e mi associo al suo augurio"molti auguri per un decennio green che si apra con il prossimo primo gennaio".
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