Il mistero di Apollodoro di Stefano Acerbo

Per gli studenti del biennio del liceo classico studiare le civiltà antiche significa, in primo luogo, imparare le grammatiche della lingua latina e greca, un lavoro necessario e persino stimolante, che richiede però un notevole sforzo. Per fortuna gli studenti italiani sono aiutati da un corpo docente preparato e appassionato e da un programma di studi che fin dall’inizio affianca agli studi linguistici le ore di epica. Queste ore sono un primo assaggio del risultato e del significato delle fatiche del biennio, in quanto mostrano agli studenti che dietro a queste lingue, alle loro grammatiche, alle loro versioni ci sono testi, ci sono letterature che ripagano di tutti gli sforzi compiuti per poterle leggere. E il libro di epica ci parla di quei testi che forse più ci affascinano: i miti, le teogonie, le imprese e le guerre dei grandi eroi. Fu proprio il testo di epica, che si intitolava felicemente Kosmos, ad attirare quasi tutta la mia attenzione quando finalmente mi arrivarono a casa i libri del mio primo anno di ginnasio, in un settembre di inizio millennio. Il piacere di scoprire per la prima volta un mondo che ci appare familiare, ma allo stesso tempo così diverso dal nostro, con dèi, mostri e luoghi fantastici, è uno dei grandi privilegi di chi ha la fortuna di studiare le civiltà classiche ed è una sensazione rara che ho riprovato solo quando ho letto opere mitologiche di altre culture antiche.

Il libro di epica è molto di più di una semplice panoramica della mitologia antica, offre, infatti, una antologia di testi mitologici. Si tratta di un altro grande merito di questa materia: lo studente apprende infatti che i miti, che certamente sono stati raccontati di bocca in bocca per tutta la antichità (un po’ come le favole o i proverbi), a noi sono noti, in primo luogo, perché sono stati trattati in opere composte da autori antichi che ancora leggiamo. I nomi di questi autori sono quasi tutti importanti e accompagneranno lo studente per tutti e cinque i suoi anni di liceo: Omero, Esiodo, Apollonio Rodio, Ovidio, Virgilio. A questi “grandi” nomi si aggiunge fin dalle prime pagine quello di Apollodoro, un nome che, fuori dalle ore di epica, ricomparirà solo in qualche versione dei primi anni per poi sparire come un fantasma, senza lasciare quasi nessuna traccia nelle letterature del triennio.

Ma chi era Apollodoro? In primo luogo bisogna dire che a questo nome non è possibile associare nessun personaggio storico, nessun autore, ma solo un’opera di cui non sappiamo nulla: la Biblioteca. È un testo composto quasi certamente in età imperiale, vale a dire almeno 8 secoli dopo Esiodo, in un Mediterraneo ormai dominato dall’Impero Romano, un testo di cui non ci è giunta nessuna testimonianza dal mondo antico. Non sappiamo con esattezza quando, dove e da chi sia stato composto. Della Biblioteca di Apollodoro ci giungono le prime notizie solo a partire dal IX secolo d.C. dal mondo bizantino. Secondo i bizantini e, in seguito, tutti gli umanisti fino al secolo XIX, l’autore dell’opera avrebbe dovuto essere Apollodoro di Atene, un importante filosofo e erudita vissuto nel II sec a.C.. Questa attribuzione, purtroppo, si è rivelata sbagliata per molte ragioni di cui una è piuttosto banale: una delle opere citate nella Biblioteca è stata composta dopo la morte del filosofo ateniese. Pertanto, non sappiamo neppure se il suo autore si chiamasse davvero Apollodoro, una possibilità che non possiamo escludere data la grande diffusione di questo nome (dono di Apollo) nel mondo antico.

Il testo della Biblioteca ci è giunto “quasi” intero (in realtà del finale abbiamo solo riassunti ed estratti più tardi): si tratta di un’opera scritta in greco che seguendo gli alberi genealogici delle principali stirpi di eroi greci offre un panorama di tutto l’universo mitico dalla nascita delle prime divinità fino al ritorno degli eroi da Troia (ultima grande vicenda che appartenga ancora al piano mitico piuttosto che a quello storico, anche se questa divisione tra “mito” e “storia” per i greci era tutt’altro che netta). Le genealogie, per noi così noiose, erano invece importanti per gli antichi, infatti affermare di discendere da un certo eroe poteva servire per giustificare diritti e privilegi di alcune famiglie aristocratiche, ma anche di intere città. Per l’autore della Biblioteca, probabilmente, le genealogie antiche che riprende da autori più antichi di secoli avevano perso questo significato, ma erano soprattutto un comodo strumento per dare un ordine ai tanti racconti mitici e, allo stesso tempo, una maniera di dare sfoggio di conoscenza di rari nomi mitici, una conoscenza molto apprezzata negli ambienti colti suoi contemporanei.

Se questo libro non è quasi mai studiato al liceo ciò non dipende né da un difetto delle letterature in commercio, né da una mancanza di attenzione da parte dei docenti. Semplicemente, nonostante il grande naufragio di opere antiche, i testi da conoscere e studiare sono molti più di quanto si è soliti credere. Se delle epoche più antiche ci è giunta una frazione estremamente ridotta di opere, a partire dall’età imperiale iniziamo a disporre di vari testi e le letterature sono costrette a fare una selezione, per offrire una panoramica della produzione letteraria più importante dell’epoca. La Biblioteca non ha certo la stessa rilevanza culturale di Plutarco o Luciano (altri autori che presto imparerete a conoscere se non li avete già incontrato) e, pertanto, non c’è il tempo materiale per studiarla a fondo. Il fatto che sia un’opera “minore”, non significa però che non abbia per noi una grande importanza.

Apollodoro, così chiameremo il suo autore per convenzione, ha la qualità di raccontare un grande numero di racconti mitici in maniera breve, ma precisa e semplice. A volte, come accade per le teogonie, questi racconti ci sono noti grazie a un autore più importante come Esiodo, ma in certi casi la Biblioteca è l’unico testo a offrire una versione completa del racconto. Vi si incontrano tutte le più grandi imprese eroiche, ma anche episodi poco noti. Inoltre, Apollodoro poteva leggere testi che oggi non ci sono giunti e così quasi sempre riporta dettagli, varianti o particolari che non possiamo ritrovare altrove. Il racconto della teogonia, per esempio, segue da vicino Esiodo, ma è ben più di un semplice riassunto del poema antico: contiene una gigantomachia (assente in Esiodo) e presenta alcuni episodi che il poeta di Ascra non menziona nella sua opera (come la spartizione del cosmo tra Zeus, Poseidone e Ade).

I tanti dettagli rari, le molte informazioni altrimenti sconosciute spiegano perché questo testo sia tra i più citati da coloro che ancora oggi studiano i miti greci. Inoltre, il fatto che Apollodoro spesso basi il suo racconto su altre opere antiche oggi purtroppo perse rende la Biblioteca un testo molto prezioso per i filologi. Uno dei difficili compiti che ha sempre affascinato questa categoria di studiosi è, infatti, quello di ricostruire le trame delle opere perdute, a partire dai pochi indizi di cui disponiamo. Un vero e proprio lavoro da detective, e la Biblioteca è una perfetta scena del crimine ricca di tracce e piste da seguire.

A parte questi usi estremamente specifici, la Biblioteca continua a essere pubblicata e tradotta in tutte le lingue moderne (le prime traduzioni in cinese e giapponese risalgono già a inizio del XX secolo!) perché è l’unica opera antica che offra una panoramica globale della mitologia greca. Il lettore incontra nelle sue pagine la trama di tutti i miti greci, un po’ come un moderno dizionario mitico. Il paragone non è, però, dei più felici. I dizionari mitici, che mi fecero comprare quando avevo la vostra età e iniziavo il liceo, presentano il mito frammentato in tante voci alfabetiche: una per ogni personaggio mitico. Lo studente che vuole sapere chi era e cosa ha fatto Teseo va direttamente alla T e si legge la voce dedicata a questo eroe. La Biblioteca, invece, presenta la materia come una narrazione continua e se oggi possiamo cercare al suo interno un singolo racconto senza dover scorrere l’intera opera fino a trovarlo è grazie agli indici che accompagnano ogni sua traduzione. L’indice dice che di Teseo si parla a una certa pagina e il lettore non deve far altro che cercare il passo esatto. L’indice però è un’aggiunta moderna, Apollodoro non aveva pensato a nulla del genere, nelle sue intenzioni l’opera doveva essere letta probabilmente in maniera continua dall’inizio fino alla fine, o, almeno fino a quando uno ne aveva voglia. E, d’altro canto, i rotoli di papiro non favorivano la semplice consultazione, con i rotoli il vostro professore non poteva certo dirvi aprite il libro alla pagina 105!

La situazione nel mondo antico non doveva essere poi così diversa. Molti avranno letto la Biblioteca solo per conoscere la trama dei miti narrati nei poemi epici o nelle tragedie, senza doversi leggere tutte le opere che li raccontavano. Spesso si dice che questi erano lettori non molto colti, ma mi pare che si debba essere più generosi nei giudizi. Il fatto che leggessero la Biblioteca non significa che non avessero mai letto Omero o l’Edipo re di Sofocle; semplicemente vale tanto per gli antichi come per i moderni la considerazione che, per richiamare alla memoria le informazioni su Edipo, è molto più comodo leggere un riassunto che narra la sua vita dalla nascita alla morte, che raccogliere tutti i dettagli sparsi nelle tragedie a lui dedicate. E poi vi sarà stato chi, invece, leggeva la Biblioteca per cercare dettagli rari, nomi quasi sconosciuti da poter citare al momento opportuno per fare colpo sugli ascoltatori. Tra questi lettori potevano esservi anche i grandi poeti, infatti è stato dimostrato che Ovidio più di una volta si è servito di opere simili alla Biblioteca andate perdute.

Aprire la Biblioteca per la prima volta è un po’ come aprire per la prima volta il libro di epica: ci si trova immersi in un mondo che ci è familiare (molti di quei nomi li abbiamo già sentiti e alcuni di quei racconti già li conosciamo), ma anche complesso e ricco di dettagli a volte strani e a prima vista incomprensibili. Quando, tra qualche anno, avrete voglia di leggere una “mitologia greca” avrete a disposizione opere moderne, a volte scritte anche in maniere affascinante, come Gli dei e gli eroi della Grecia di Károly Kerényi, ma chi vorrà e avrà la pazienza di seguire il racconto di Apollodoro, senza confondersi nell’infinto elenco di nomi che compongono le sue genealogie, avrà il privilegio di leggere i miti raccontati da un autore che ancora viveva immerso nella civiltà che per secoli li aveva narrati e plasmati.

Stefano Acerbo

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