L’astrologia mesopotamica di Lorenzo Verderame

Le fonti sono principalmente epigrafiche[1]

La divinazione rappresenta uno degli aspetti più evidenti e noti dell’eredità di quella che potremmo convenzionalmente definire “civiltà mesopotamica”[2]. Presagi di tutti i tipi furono osservati, registrati, raccolti, trasmessi e commentati nel contesto della letteratura cuneiforme, a partire dal III millennio a.C. sino agli inizi della “nostra” era. L’ultima tavoletta cuneiforme nota, infatti, risale al 44 d.C. e riguarda proprio un’osservazione astrologico/astronomica[3].

Una tradizione così radicata ebbe un impatto notevole sulle culture vicine e coeve che avevano adottato il cuneiforme per scrivere la propria lingua, come per esempio gli Ittiti, ma raggiunse anche culture lontane nello spazio e nel tempo. È così che passi d’ispirazione mesopotamica si trovano nelle letterature posteriori, come quella indiana, greca, etc.[4]; modellini epatoscopici si diffondono attraverso la Siria, fino alle rive del Mediterraneo raggiungendo l’Etruria. Lo stesso nome della Caldea[5] viene associato nella tradizione classica alla pratica oracolare[6] e nel De divinationae Cicerone distingue con il termine “caldeo” un determinato tipo di indovino, considerato ovviamente come un ciarlatano[7].

Le origini

Nell’antichità lo stretto rapporto dell’uomo con la natura si riflette in una visione panteistica della realtà. La natura e le sue molteplici manifestazioni sono interpretate come espressioni mediate o dirette del divino e di conseguenza la natura diviene il tramite tra l’uomo e la divinità.

Fin dagli albori l’uomo ha inteso gli eventi cui assisteva come espressione del divino: un tuono o l’alternarsi giornaliero della luna e del sole erano identificati come la divinità stessa o come una sua emanazione. Un evento negativo poteva essere la conseguenza della collera divina e così, per es., una battuta di caccia andata male o l’uccisione di un cacciatore da parte di una belva era la conseguenza dell’ira del/la Signore/a degli Animali.

La prima necessità dell’uomo divenne quella di interpretare il volere divino e assicurarsene la protezione. Prima ancora di partire per la caccia l’uomo interrogava la divinità circa le sue intenzioni, predisponeva con la “magia” le sue armi e prima e dopo la caccia offriva sacrifici al Signore della Foresta o degli Animali.

Queste forme d’interazione con il divino possono identificarsi con altrettante categorie della religiosità antica, ovvero la divinazione, la magia, il sacrificio ed il rito.

Ogni azione, dunque, era preceduta da determinati processi, tra cui la divinazione. Una delle forme più comuni e diffuse di divinazione è collegata alla meditazione: l’uomo si reca in un luogo isolato, in mezzo ad una radura, su di un picco o presso una fonte, ed osserva la natura circostante in attesa dei segni del favore divino necessari per intraprendere un’impresa.

Ben presto cominciarono a distinguersi persone con una particolare vocazione per le arti divinatorie e “magiche”. Questi sciamani, stregoni o sacerdoti divennero il canale privilegiato tra la società e la sfera divina. In questa fase le diverse pratiche divinatorie non sono ancora particolarmente sviluppate né tantomeno separate: siamo ben lontani dalla diffusione e specializzazione della Mesopotamia del I millennio.

La fasi più arcaiche

La rivoluzione urbana e il passaggio alle cosiddette civiltà “superiori” comportarono tutta una serie di cambiamenti ed in particolare una maggiore specializzazione e diversificazione. Alle poche e difficilmente distinguibili divinità delle precedenti culture si sostituiscono le numerose, spesso fittizie, divinità e numi tutelari che accompagnano il processo di specializzazione del lavoro.

Questo stimolo influenzò anche le pratiche divinatorie. La sfera d’influenza, che prima era stata di poche divinità, veniva ora suddivisa tra una moltitudine di dèi, ciascuno preposto ad un singolo aspetto della realtà; di conseguenza i diversi eventi potevano essere ricollegati all’una o all’altra divinità.

Nella struttura del villaggio le esigenze e le occasioni d’impiego della divinazione erano relativamente poche: la caccia, la malattia, la guerra. Nelle civiltà superiori la specializzazione permea ogni aspetto della società e così nella mantica abbiamo l’aumento e la separazione delle varie pratiche, la nascita di altre e la creazione di personale sempre più specializzato. Parallelamente aumentano le esigenze, le occasioni e la casistica.

Poco è rimasto delle pratiche divinatorie dei Sumeri, ovvero nella letteratura in lingua sumerica trasmessaci. L’extispicina (l’osservazione delle viscere degli animali) si afferma sin dai periodi più arcaici come la principale forma mantica: è usata in particolare come metodo per la scelta dei sommi sacerdoti, come quello di Nanše eletto da Ur-Nanše e quelli di Inanna ad Uruk e Nanna ad Ur durante il periodo di Ur III[8]. Nella contemporanea cultura semitica di Ebla la medesima pratica sembra fosse adoperata per la scelta della regina[9].

Numerosi sono anche i riferimenti all’oniromanzia nei testi letterari e cultuali[10]. Uno dei passi più noti è sicuramente il sogno del governatore (ensi) di Lagash, Gudea (ca. XXI a.C.), descritto in un lungo testo cuneiforme iscritto su due cilindri di argilla (Cilindro A e B)[11]. Nella lunga narrazione vengono descritte, con dovizia di particolari, tutte le fasi della costruzione del tempio Eninnu del dio poliade Ninghirsu (“Signore di Ghirsu”). Ed è proprio il dio Ninghirsu a ordinare la costruzione del tempio e i relativi dettagli in una serie di sogni che Gudea fa interpretare dalla dea Nanshe.

Nella stessa composizione vi è uno dei più chiari riferimenti all’osservazione celeste in questo periodo.

Nel Cilindro A la dea Nisaba consulta la sua tavoletta per indicare al governatore di Lagaš il momento più appropriato per iniziare la costruzione del tempio di Ninghirsu. Nisaba è la dea preposta ai cereali e al computo, in cui è compresa anche la scrittura, la cui origine è strettamente vincolata agli aspetti amministrativi. Ma la dea appare collegata anche alle osservazioni celesti: infatti di lei si dice che misura il cielo e la terra e “conta i giorni” insieme al dio lunare Suen; il suo tempio in Eresh si chiama “il tempio delle stelle” e uno dei suoi attributi è la tavoletta di lapislazzuli definita “tavoletta delle stelle del cielo”, oppure “tavoletta delle stelle del puro cielo”. Il passo del Cilindro A può essere interpretato o in connessione con determinate configurazioni astrali di cui il tempio doveva rispecchiare la struttura, o semplicemente come un’indicazione di tipo calendariale sul momento propizio per l’inizio dei lavori. In entrambi i casi è evidente l’attenzione all’osservazione del cielo da parte di Gudea[12].

L’impressione che si trae dall’analisi dei riferimenti a Nisaba è che la dea fosse particolarmente legata all’amministrazione agricola e al computo temporale connesso con questo tipo di attività. In quest’ultimo caso è interessante notare che la sfera d’azione della dea è quella dell’astronomia e non quella dell’astrologia. Questa impressione è riflessa nella maggior parte dei riferimenti all’osservazione delle stelle: questi si ritrovano infatti inseriti in contesti relativi alle attività agricole, per le quali la ciclicità regolare del cielo, con i suoi due astri che scandiscono il giorno e le stelle che segnano le stagioni, è fondamentale[13].

Quando (la posizione) delle stelle del cielo è giusto, non indugiare ad usare la forza del bue nel capo dieci volte! (Istruzioni dell’agricoltore, 38-39)

La mancanza generale di riferimenti a pratiche “astrologiche” nel periodo sumerico ha lasciato supporre una certa marginalità dell’osservazione celeste presso i Sumeri. Tuttavia gli studi di Landsberger[14] e di Falkenstein[15], oltre all’attribuzione a periodi arcaici di testi trasmessi dalla posteriore tradizione[16], hanno evidenziato la parzialità di questo giudizio. Allo stato attuale degli studi è fuori di dubbio che i Sumeri si interessarono all’osservazione celeste: i nomi delle stelle e delle costellazioni sono espressi sempre in sumerico, dal periodo paleo-babilonese a quello seleucide, quando cioè il sumerico era una “lingua morta” non più parlata, e l’enorme progresso della letteratura astrologica durante il periodo paleo-babilonese non sarebbe giustificato senza presupporre una precedente esperienza, seppur elementare, nel periodo sumerico.

Il II millennio

A prescindere dall’esiguità del materiale sumerico, nel periodo paleo-babilonese assistiamo ad un vero e proprio fiorire delle arti divinatorie. In questo periodo, infatti, sono attestate già tutte quelle pratiche che accompagneranno la civiltà mesopotamica fino al suo termine, come l’extispicina e l’astrologia; altre appaiono e sono attestate solo in questo periodo, con rare eccezioni, come la lecanomanzia e la libanomanzia.

I nuclei e i prototipi delle future raccolte o “serie” di presagi sono già attestati[17] ed è documentata una prima trasmissione di testi divinatori fuori dalla Mesopotamia[18]. Un caso significativo è rappresentato dai documenti di Hattusa, capitale dell’impero ittita: sebbene la datazione dei testi divinatori lì rinvenuti risalga al 1400 a.C., questi si ricollegano direttamente alla tradizione paleo-babilonese.

Anche per l’astrologia le testimonianze si fanno sempre più numerose. È verosimile che i presagi relativi alle eclissi lunari, ritenuti dalla Rochberg-Halton «the original core» della più tarda serie astrologica Enūma Anu Enlil, fossero già strutturati in maniera piuttosto complessa e non fossero limitati alla sola Mesopotamia[19].

Risale a questo periodo la stesura di numerosi testi di cui conosciamo però solo copie di periodi posteriori. Primo fra tutti il summenzionato corpus di presagi relativi alle eclissi lunari. È databile al regno di Ammisaduqa (1646-1626 a.C.) la famosa tavola 63 dell’Enūma Anu Enlil che tratta dei fenomeni relativi al pianeta Venere: il sovrano babilonese non è menzionato nel testo, ma il nome del suo ottavo anno di regno si trova nel decimo omen della tavola[20].

Anche la documentazione non propriamente astrologica rivela una grande attenzione all’osservazione celeste: la triade celeste (Luna = Sin; Sole = Shamash; Venere = Ishtar) e gli aspetti celesti di molte divinità (Ishtar) sono frequentissimi e predominanti anche fuori dall’ambito divinatorio, tanto che i primi studiosi, ma non solo loro, hanno definito la religione babilonese di questo periodo come “astrale”. Particolare fortuna sembrano aver goduto le Pleiadi[21], ma più in generale tutte le costellazioni si trovano menzionate in testi di vario genere, tra cui la famosa “Preghiera agli dèi della notte”. Il pianeta Venere assume un ruolo centrale nella sua identificazione con la principale dea del pantheon babilonese, Ishtar, ed altre divinità a lei assimilabili[22].

In fin dei conti la documentazione propriamente astrologica di questo periodo appare piuttosto scarsa, soprattutto se confrontata con le contemporanee fonti per l’extispicina e la teratologia. Tuttavia, le attestazioni in altri contesti, le copie posteriori di testi relativi a questo periodo e la diffusione fuori della Mesopotamia sono importanti indicatori dello sviluppo della contemporanea astrologia.

A questo punto parrebbe logico cercare una giustificazione al contrasto tra i numerosi indizi sulla diffusione dell’astrologia e la mancanza di documenti in questo periodo, soprattutto in confronto alle fonti di altre pratiche mantiche. Secondo la Rochberg-Halton l’astrologia in questo periodo era una pratica prettamente “accademica” poiché richiedeva «a specialized knowledge of the literature pertaining to the phenomena of interest», in contrapposizione a metodi di divinazione più semplici e di carattere prettamente popolare, come la lecanomanzia e la libanomanzia[23]. La tesi della Rochberg-Halton si fonda soprattutto sulla tipologia delle apodosi dei testi riconducibili al periodo paleo-babilonese, che riguardano il più delle volte gli affari pubblici: la studiosa sostiene la contrapposizione tra pubblico/accademico e privato/popolare. Tuttavia, la tesi non convince perchè come fa notare la Koch-Westenholz, «Old Babylonian extispicy, undoubtedly a “scholarly” branch of divination, is frequently about private affairs»[24].

Il periodo medio-babilonese è caratterizzato soprattutto da un’intensa attività di recupero, sintesi e sistemazione del materiale: gli omina vengono raccolti in “serie”, ordinate secondo determinati principi. Questa, tuttavia, è l’impressione che ci siamo fatti in base alla tradizione posteriore del primo millennio, che relega al periodo cassita la cosiddetta “canonizzazione” di buona parte della letteratura babilonese.

Non sappiamo come abbiano proceduto gli scribi nella raccolta e trascrizione del materiale, cioè cosa sia stato compreso e quale sia stato l’elemento discriminante per un’eventuale inclusione o esclusione. È difficile comprendere il rapporto e il ruolo di quelle che negli stessi testi vengono definite “altre” tradizioni: è possibile che già in questo momento del materiale venisse considerato come “estraneo, non ortodosso” (ahû), oppure, come conseguenza della raccolta e sistemazione in serie, ciò che venne escluso andò a costituire una tradizione parallela.

Sicuramente esistevano già delle raccolte di omina su specifici argomenti o per fini pratici. È possibile che alcuni di questi corpora abbiano costituito il nucleo centrale delle successive raccolte. Potrebbe essere questo il caso delle tavole dell’Enūma Anu Enlil relative alle eclissi (vd. sopra), nucleo intorno a cui si costituì la serie Enūma Anu Enlil secondo la Rochberg-Halton: gli omina relativi alle eclissi occupano ben sette tavole dell’ Enūma Anu Enlil, sono attestati fin dal periodo paleo-babilonese e la loro evoluzione testuale può essere seguita nei secoli e, inoltre, riguardano un fenomeno cui i babilonesi attribuivano notevole importanza. Anche le tavole I-XIV dell’ Enūma Anu Enlil sono considerate come un nucleo indipendente all’interno della raccolta, noto con il nome di “Periodo di visibilità della luna”[25]; omina appartenenti a queste tavole sono noti fin dal periodo paleo-babilonese e quindi possono competere, per importanza e tradizione, con il materiale relativo agli omina delle eclissi. L’unica differenza sta nel fatto che delle tavole I-XIV, allo stato attuale delle ricerche, non è possibile ricostruire un’evoluzione testuale al pari delle tavole XV-XXII, quelle cioè relative alle eclissi. Probabilmente, questo è un indizio che ci deve far prendere in considerazione la teoria della Rochberg-Halton: la costituzione di un corpus, più o meno ampio, di omina relativi alle eclissi e la sua trasmissione durante i secoli può aver favorito la raccolta di altri omina astrologici intorno a questo nucleo precostituito.

Molti scribi vissuti in questo periodo assursero a figure mitiche presso i posteri. È questo il caso di Esaghil-kin-apla e di Sîn-leqe-unnini, ai quali la tradizione posteriore attribuirà molte opere famose. A quest’ultimo, infatti, faceva risalire le sue origini una delle più importanti famiglie di scribi e astrologi di Uruk[26]. La cosa interessante è la titolatura di Sin-leqe-unnini, “esperto dell’Enūma Anu Enlil, sacerdote lamentatore di Anu e Antu ad Uruk”, che rivela una stretta connessione con l’astrologia. I suoi discendenti mantennero viva questa tradizione e di padre in figlio continuarono ad occuparsi di astrologia, copiando le tavole dell’ Enūma Anu Enlil ed includendo nella titolatura la discendenza da Sin-leqe-unnini.

La documentazione in questo periodo appare scarsa, ma più illuminante di quella del periodo precedente. Sappiamo che il re Marduk-nadin-akhkhe (1099-1082 a.C.) della II Dinastia di Isin riceveva rapporti astrologici come i successivi sovrani assiri[27]. I kudurru, sorta di pietre miliari coperte di simboli perlopiù astrologici, al tempo stesso protezione “magica” e documento giuridico relativo a fondi terrieri, sono altresì illuminanti per la conoscenza e la rappresentazione di determinate costellazioni da parte dei Babilonesi.

kudurru

Il I millennio

I primi tre secoli del primo millennio sono caratterizzati da un periodo di buio pressoché totale: la documentazione dalla Babilonia è scarsa e nei predecessori di Assurbanipal l’interesse per l’astrologia appare marginale.

La svolta inizia con Sargon II d’Assiria e raggiunge il suo apice con Assurbanipal. La maggior parte della documentazione proviene dalla biblioteca di Assurbanipal a Ninive e probabilmente questa impressione parziale è dovuta alla casualità dei rinvenimenti. Tuttavia ragioni di carattere storico hanno determinato la situazione ideale per lo sviluppo dell’astrologia.

La biblioteca di Ninive contiene abbondante materiale di carattere astrologico e astronomico che permette una ricostruzione se non definitiva, comunque abbastanza soddisfacente e omogenea, della letteratura astrologica e non. Dal punto di vista astrologico i rinvenimenti più importanti sono sicuramente i documenti appartenenti alla serie EAE e la relativa letteratura secondaria, come estratti e commentari, per cui si veda oltre. Non va dimenticata la copia personale dell’Enūma Anu Enlil di Assurbanipal redatta su tavole d’avorio unite da cerniere, delle quali due sono oggi esposte al British Museum.

tavole d’avorio

Si tratta del periodo di maggiore diffusione e specializzazione delle pratiche divinatorie. Basta scorrere una delle liste di attribuzioni della corte assira per rendersi conto dell’apparato di studiosi di cui si circondava il re[28]. L’interesse e l’incremento della divinazione è testimoniato dal fitto carteggio tra la corte e questi studiosi, conservato sempre nella biblioteca di Ninive: primi fra tutti, i rapporti settimanali e giornalieri degli astrologi, degli aruspici e degli altri specialisti[29].

È interessante notare come la preparazione di ciascuno specialista non verteva unicamente sulle proprie materie, ma abbracciava diverse discipline nel quadro delle arti divinatorie. Così non è un caso trovare tra i mittenti di rapporti astrologici un aruspice. Il re assiro si avvaleva non di un solo specialista in ciascuna materia, ma di una vera e propria “accademia”, i cui membri si trovavano a corte o sparsi entro i confini del regno, fino a Babilonia. Ciò sta ad indicare che la pratica mantica era oggetto di vivaci dispute “scientifiche” tra studiosi che presentavano differenti osservazioni e interpretazioni dello stesso fenomeno: una “scienza” viva, quindi, in contrasto con l’idea di canonizzazione e staticità che potrebbe trasparire dall’importanza attribuita alla tradizione.

Si diffonde in questo periodo un’abbondante letteratura secondaria di tipo commentario ed esegetico non solo delle serie “canoniche”, ma anche di quella che possiamo definire come letteratura “altra” (vd. sopra).

Dopo il periodo neo-assiro le pratiche mantiche procedono da una parte verso una sempre maggiore scientificità[30]. La particolare spinta innovativa dell’astrologia babilonese del primo millennio farà sì che il periodo finale della cultura mesopotamica rimarrà collegato fino al nostro secolo all’immagine dell’astrologo caldeo.

Se da una parte, le registrazioni quotidiane e i testi di previsione degli eventi celesti si fanno sempre più vicini a quella che potremmo definire un’ “astronomia” scientifica, dall’altra il filone astrologico pare tutt’altro che esaurito. In particolare, i pianeti non sono più visti come mezzi di comunicazione degli dèi, ma assumono una propria indipendenza, influenzando gli eventi terreni con la loro sola presenza fisica. Questa concezione ha il suo pieno riflesso nella vita quotidiana: da una parte l’astrologia, da pratica di corte, diviene pratica ad uso e consumo di tutti[31], dall’altra, la presenza dei pianeti si riflette negli avvenimenti del singolo. Questi infatti possono influenzare con la loro presenza i momenti importanti nella vita di una persona, in particolare la nascita. Da qui, il passo verso l’astrologia genetliaca e gli oroscopi è breve. I documenti di Uruk seleucide, sebbene in buona parte inediti, mostrano la diffusione a livello popolare dell’astrologia, sia in documenti quali i cosiddetti “oroscopi”[32], sia in altri campi, come per es. i sigilli su cui erano incisi i propri segni zodiacali. Parallelamente vengono sviluppati e impiegati nuovi sistemi collegati all’uso dello zodiaco[33].

segni zodiacali

In una Babilonia ai margini delle nuove rotte commerciali e ormai non più indipendente, sottomessa a dinastie straniere spesso ellenizzate, l’astrologia tradizionale non viene abbandonata e gli antichi testi continuano ad essere copiati, ma il loro prestigio va lentamente diminuendo, fino a scomparire insieme alla scrittura cuneiforme, elemento centrale e vincolante delle culture succedutesi in Mesopotamia per circa tre millenni.

 

[1] L. Verderame, "I rapporti tra architettura e corpi celesti nell'antica Mesopotamia," in Atti del 7° convegno annuale della Società Italiana di Archeoastronomia (in stampa).

[2] Termine quanto mai convenzionale e restrittivo. Nell’area siro-mesopotamica, ampliamento d’obbligo dopo le importanti scoperte in Siria, hanno convissuto e si sono succedute culture spesso espressesi in lingue differenti, il cui principale elemento di continuità, da un punto di vista epigrafico, è stata l’adozione di un medesimo sistema di scrittura, il cuneiforme.

[3] L’ambiguità dei termini è d’obbligo perchè i due aspetti sono inscindibili nell’ambito mesopotamico. Persino nel I mill. a.C. quando le osservazioni si fanno più “scientifiche” l’elemento astrologico è sempre presente, vd. D. Brown, Mesopotamian Planetary Astronomy-Astrology, Cuneiform Monographs 18 (Groningen: Styx, 2000). L’espressione “osservazione celeste”, da noi adottata nel titolo di questo articolo, si è imposta con il tempo non solo per la sua comoda genericità, ma anche per evitare confusione con la più popolare astrologia genetliaca comparsa molto tardi in Mesopotamia; vd. F. Rochberg, The Heavenly Writing: Divination, Horoscopy, and Astronomy in Mesopotamian Culture (Cambridge: Cambridge University Press, 2004), per gli oroscopi mesopotamici F. Rochberg, Babylonian Horoscopes, Transactions of the American Philosophical Society 88.1 (Philadelphia: American Philosophical Society, 1998).

[4] Una parte importante del lavoro dello storico della scienza D. Pingree, di recente scomparso, è dedicato alla trasmissione della tradizione astrologico/astronomica mesopotamica nelle altre culture; tra i suoi ultimi e maggiormente comprensivi contributi si veda D. Pingree, "Legacies in Astronomy and Celestial Omens," in The Legacy of Mesopotamia, ed. S. Dalley (Oxford: Clarendon Press, 1998).

[5] Il nome identifica vagamente l’area meridionale della Mesopotamia in cui si stanziarono a partire dal I mill. a.C. popolazioni di lingua aramaica definite appunto “caldee”, che riuscirono a prendere il controllo della Babilonia dando vita ad una serie di entità statali e di dinastie.

dinastia caldea trasmessaci dalla tradizione biblica, con Nabucodonosor e Nabonedo.

diedero vita ad una delle ultime entità statali indipendenti prima della perdita

[6] In particolare quella astrologica, ma non solo, basti pensare agli “oracoli caldei”.

[7] F. Rochberg-Halton, Aspects of Babylonian Celestial Divination: The Lunar Eclipse Tablets of Enūma Anu Enlil, Archiv für Orientforschung Beiheft (Horn: Ferdinand Berger & Söhne Gesellschaft M.B.H., 1988), Cap. I.

[8] A. Falkenstein, "Wahrsagung in der Sumerischen Überlieferung," in La divination en Mésopotamie ancienne et dans les régions voisines, Travaux du Centre d'études supérieures spécialisé d'histoire des religions de Strasbourg (Paris: Presses Universitaires de France, 1966).

[9] G. Pettinato, La scrittura celeste (Milano: Mondadori, 1998), 44s.

[10] A.L. Oppenheim, "Sumerian: inim.gar, Akkadian: egirrû = Greek kledon," Archiv für Orientfoschung 17 (1954/56); A.L. Oppenheim, The Interpretation of Dreams in the Ancient Near East, TAPS 46.3 (Philadelphia: 1956); S.A.L. Butler, Mesopotamian Conceptions of Dreams and Dream Rituals, AOAT (Münster: Ugarit-Verlag, 1998); A. Zgoll, "Die Welt im Schlaf sehen - Inkubation von Träumen im antiken Mesopotamien," Die Welt des Orient 32 (2002).

[11] G.R. Castellino, Testi Sumerici e Accadici, Classici delle Religioni, Serie I: Le religioni orientali (Torino: UTET, 1977), 215-264; L. Verderame, "Riferimenti astrali nella mitologia Sumero-Accadica," in Cosmology Through Time. Ancient and Modern Cosmologies in the Mediterranean Area Conference Proceedings, ed. S. Colafrancesco - G. Giobbi (Milano: Mimesis, 2003), 30 con bibliografia precedente.

[12] Verderame, "I rapporti tra architettura e corpi celesti nell'antica Mesopotamia," .

[13] M.P. Nilsson, Primitive Time-Reckoning. A Study in the Origins and First Development of the Art of Counting Time among the Primitive and Early Culture Peoples, Acta Societatis Humaniorum Litterarum Lundensis 1 (Lund: C.W.K. Gleerup, 1920); per la Mesopotamia vd. B. Landsberger, Der kultische Kalender der Babylonier und Assyrer, Leipziger semitistische Studien 6/1-2 (Leipzig: J.C. Hinrichs'sche Buchhandlung, 1915); B. Landsberger, "Jahreszeiten im Sumerisch-Akkadischen," Journal of Near Eastern Studies 8 (1949); L. Verderame, "Le calendrier et le compte du temps dans la pensée mythique suméro-akkadienne," De Kêmi à Birit Nâri, Revue Internationale de l'Orient Ancien 3 (in stampa).

[14] WdO 3 (1953), pg. 73.

[15] Falkenstein, Wahrsagung in der Sumerischen Überlieferung, in RAI XIV (1966), pg. 45ss..

[16] È questo il caso del “manuale astronomico” MUL.APIN, H. Hunger - D.E. Pingree, MUL.APIN : An Astronomical Compendium in Cuneiform, Archiv für Orientforschung. Beiheft 24 (Horn, Austria: F. Berger, 1989), noto da copie databili al II e I mill. a.C.; secondo V. Tuman, "Astronomical Dating of Mul.Apin Tablets," in La circulation de biens, des personnes et des idées dans le Proche Orient ancien, ed. D. Charpin - F. Joannès (Paris: Recherche sur les civilisations, 1992) alcune parti del testo sarebbero indicherebbero un’origine precedente, risalente al III mill. a.C..

[17] Vd. per es. Rochberg-Halton, The Lunar Eclipse, pg. 19ss.

[18] E. Leichty, The Omen Series Šumma Izbu, Texts from Cuneiform Sources IV (Locust Valley, NY: J.J. Augustin Publisher, 1970), 20s; Rochberg-Halton, Aspects of Babylonian Celestial Divination: The Lunar Eclipse Tablets of Enūma Anu Enlil, 30-35; U. Koch-Westenholz, Mesopotamian Astrology. An Introduction to Babylonian and Assyrian Celestial Divination, CNI Publications (Copenhagen: 1995), 44-53.

Leichty, Šumma Izbu, pg. 20s.; Rochberg-Halton, The Lunar Eclipse, pg. 30-35; Koch-Westenholz, Mesopotamian Astrology, pg. 44-53.

[19] Rochberg-Halton, Aspects of Babylonian Celestial Divination: The Lunar Eclipse Tablets of Enūma Anu Enlil, 7.

[20] E. Reiner - D. Pingree, Enūma Anu Enlil. The Venus Tablet of Ammisaduqa. Tablet 63, Bibliotheca Mesopotamica 2/1 (Malibu: Undena Publications, 1975).

[21] Nella glittica i sette punti sono attestati dai periodi più antichi fino al periodo neo-assiro, ma la loro associazione con le Pleiadi non è sempre così chiara.

[22] W. Heimpel, "A Catalog of Near Eastern Venus Deities," Syro-Mesopotamian Studies 4, no. 3.

[23] Rochberg-Halton, Aspects of Babylonian Celestial Divination: The Lunar Eclipse Tablets of Enūma Anu Enlil, 9.

[24] Koch-Westenholz, Mesopotamian Astrology. An Introduction to Babylonian and Assyrian Celestial Divination, 41.

[25] Così il Catalogo di Uruk, E.F. Weidner, "Die Astrologische Serie Enûma Anu Enlil," Archiv für Orientfoschung 14 (1941/44): 172s; F.N.H. al-Rawi - A.R. George, "Enuma Anu Enlil XIV and other Early Astronomical Tables," Archiv für Orientfoschung 38/39 (1991/92): 52 n. 4; cf. L. Verderame, "Le Tavole I-XIV dell'Enuma Anu Enlil" (tesi di laurea, Università di Roma "La Sapienza", 1998); L. Verderame, Le Tavole I-VI della serie astrologica Enūma Anu Enlil, NISABA 2 (Messina: Di.Sc.A.M., 2002).

[26] H. Hunger, Babylonische und assyrische Kolophone, AOAT 2 (Neukirchen-Vluyn: 1968), 17; Pettinato, La scrittura celeste, 133s.; Pettinato, La scrittura celeste, pg. 133s..

[27] S. Parpola, Letters from Assyrian and Babylonian Scholars, State Archives of Assyria X (Helsinki: Helsinki University Press, 1993), nr. 100; cf. J. Neumann - S. Parpola, "Climatic Change and the Eleventh-Tenth-Century Eclipse of Assyria and Babylonia," Journal of Near Eastern Studies 46 (1987): 178.

[28] Vd. L. Verderame, "Il ruolo degli "esperti" (ummânu) nel periodo neo-assiro" (Tesi di Dottorato, Università di Roma "La Sapienza", 2003), che sarà pubblicato nella serie di Helsinki State Archives of Assyria Studies.

[29] I. Starr, Queries to the Sungod: Divination and Politics in Sargonid Assyria, State Archives of Assyria IV (Helsinki: Helsinki University Press, 1990); H. Hunger, Astrological Reports to Assyrian Kings, State Archives of Assyria VIII (Helsinki: Helsinki University Press, 1992); Parpola, Letters from Assyrian and Babylonian Scholars .

[30] Brown, Mesopotamian Planetary Astronomy-Astrology .

[31] Questo almeno secondo la documentazione testuale.

[32] Vd. n. 3.

[33] La bibliografia è ampia e abbraccia buona parte dei lavori di Rochberg-Halton. Per uno sguardo d’insieme, vd. Koch-Westenholz, Mesopotamian Astrology. An Introduction to Babylonian and Assyrian Celestial Divination, 52; Pettinato, La scrittura celeste, 295ss.

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