Il contributo dell’antropologia culturale al dialogo fra le scienze DI ROBERTO MALIGHETTI
Il contributo dell’antropologia culturale al dialogo fra le scienze si basa sulle sue due
caratteristiche principali: da un alto l'etnografia e il lavoro di ricerca sul campo, lo
sviluppo, cioè, di un discorso scientifico sull'uomo basato su un'esperienza personale e su
un intenso coinvolgimento nelle relazioni con gli interlocutori; dall’altro la prospettiva
dell’incontro con le differenze culturali e del viaggio attraverso le culture.
Queste due dimensioni interrogano la neutralità e l’oggettività che altre scienze
idealizzano o possono più facilmente dare per scontate. Agli albori dell’antropologia,
l’adozione dei principi che hanno avuto origine nella rivoluzione scientifica del 17°
secolo dell’astronomia e della fisica, non è riuscita a risolvere il problema della relazione
fra l’elaborazione teorica e la realtà. L’aver postulato una oggettività data (senza
problematizzare da chi e come) e l’eliminazione di tutto ciò che si presenta come
soggettivo, ha permesso di pensare il mondo come costituito da oggetti disponibili ad
essere trascritti immediatamente nella perfezione logico-matematica del linguaggio
scientifico.
L’esigenza di un linguaggio formale, ripulito da ogni riferimento soggettivo, ha
attraversato lo sviluppo dell’antropologia. Inizialmente diede vita alla traduzione
dell’evoluzionismo biologico Darwiniano e Spenceriano nel metodo comparativo fondato
sulle “correlazioni statistiche e le variazioni concomitanti” (Tylor 1889).
Successivamente fu elaborata dal “metodo della documentazione statistica mediante
prove concrete” (Malinowski 1922), dalle raffinate formalizzazioni dello strutturalismo
(Lévi-Strauss 1958) e dalle forme più recenti di scientismo prodotte dal neoevoluzionismo,
dal materialismo culturale o dall’etnoscienza.
Questi scuole di pensiero riproducono la concezione moderna della scienza e
interpretano le esigenze prodotte dal modello induttivo baconiano, dall'unione galileiana
di osservazione, sperimentazione e matematizzazione della natura, dalla meccanica
classica sperimentale e causale newtoniana, dalla sistematizzazione metafisica cartesiana,
basata sul dualismo – mai efficacemente ricomposto - tra res cogitans e res extensa e
sull’ideale di conoscenza come rappresentazione. Riflettono il problema epistemologico
sistematizzato filosoficamente da René Descartes e si concentrano sul rapporto tra la
realtà e la sua rappresentazione secondo un ideale di trasparenza immediata e trascrizione
diretta. Non interrogano la datità dei dati, consegnando il problema alla riflessione
metafisica e lasciano aperti le questioni relative al rapporto fra linguaggio e mondo, fra
una verità analitica che dipende dalla forma e dalla coerenza delle proposizioni e una
verità sintetica che si riferisce al rapporto con gli oggetti.
Le difficoltà del lavoro sul campo costrinsero l’antropologia a confrontarsi con
l’impossibilità di oggettivare il soggetto, sia come soggetto conoscitivo, astratto
dall'esperienza e identificato con una funzione logica, sia come soggetto conosciuto,
omologato all'interno di grandi classi. L’etnografia mise in crisi la concezione artificiale
del ricercatore come osservatore neutrale e distaccato e teorizzò invece un io
profondamente coinvolto nel processo di ricerca e nei rapporti con gli interlocutori. I
profondi sconvolgimenti che caratterizzarono la seconda metà del secolo scorso, in primis
i processi di decolonizzazione, questionarono l’autorità dell’etnografo sul campo.
L’antropologia accolse i risultati della ricerca scientifica per emanciparsi dalla
riproduzione mimetica delle concezioni della scienza appartenenti al 17° secolo. Come
scrisse Clifford Geertz nel 1984,
finché non c’era nulla di più veloce di un maratoneta, la fisica di Aristotele funzionava
abbastanza bene, nonostante i paradossi eleatici. Finché la strumentazione tecnica poteva farci
entrare e uscire solo di poco dal mondo dei sensi, la meccanica di Newton funzionava
abbastanza bene, nonostante le perplessità sull’azione a distanza. Non fu il relativismo (il
sesso, la dialettica e la morte di Dio) che liquidò il moto assoluto, lo spazio euclideo e la
causalità universale: furono piuttosto i fenomeni ostinati, pacchetti di onde e salti orbitali, di
fronte ai quali erano impotenti (Geertz 2001, p.82)
La svolta interpretativa
La scienza contemporanea restituisce un'immagine incerta e complessa del mondo,
alternativa ai semplici corpi estesi euclidei, definiti da uno spazio metrico ben circoscritti
e chiaramente definiti nella loro velocità e posizione. I micro-oggetti della fisica
subatomica (protoni, neutroni, elettroni, quark) non possono essere considerati in termini
semplici newtoniani, (massa, forza e movimento) collegati tra loro in termini causali per
mezzo delle categorie evidenti di meccanica. Come ha sottolineato Silvana Borutti
(Borutti 1999, pp. 13-20), gli oggetti delle scienze sono costrutti artificiali, il prodotto di
complesse operazioni di messa in forma e di modellazione. Gli oggetti scientifici non
esistono prima dell'inevitabile alterazione dei parametri prodotti dal soggetto conoscente.
La meccanica quantistica insegna che in ogni misurazione esiste un'interazione tra
strumento e oggetto, il cui valore rimane incerto: non è possibile misurare
simultaneamente la posizione e la velocità di una particella, o condurre esperimenti
indipendentemente dalle condizioni specifiche di osservazione sperimentale.
Le particelle del mondo subatomico sono costruite in rapporti contingenti con lo
strumento di misurazione e sono osservabili solo nell'interazione con una radiazione che
modifica le condizioni del sistema. Come ha suggerito Heisenberg, il mondo materiale è
una rete di relazioni che include l'osservatore: "ciò che osserviamo non è la natura stessa,
ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine" (Heisenberg 1959, p. 73).
Dove la scienza classica vedeva permanenza, fissità e verità, la scienza contemporanea
riconosce il cambiamento e l'instabilità. Genera particelle elementari che si scontrano, si
trasformano l'una nell'altra e si decompongono. Identifica fenomeni complessi: quasar,
pulsar; l'esplosione o la scissione delle galassie; stelle che collassano in buchi neri che
divorano irreversibilmente tutto ciò che cade nella loro trappola.
La pretesa di universalità della fisica newtoniana è sostituita da una consapevolezza
della relatività di un’osservazione prodotta da un soggetto - come suggerisce il premio
Nobel per la chimica del 1977, Ilya Prigogine - inesorabilmente collocato non solo nel
mondo fisico ma anche nel mondo sociale e culturale (Prigogine and Stengers, 1977).
L’assunzione dei risultati della ricerca scientifica contemporanea e l’apertura
dell'antropologia all'ermeneutica permisero alla disciplina di produrre quella che fu
definita una svolta interpretativa (Geertz, 1973). L’antropologia cercò di superare la
metafisica della datità a favore di un punto di vista costruttivista che considera come la
conoscenza costruisca i propri referenti, formando e modellando i fenomeni presi in
esame. L’ermeneutica fu utilizzata, da un lato, per concepire il soggetto non come un
essere neutro ma come ontologicamente fondato sulla propria conoscenza e sulla propria
cultura. Dall'altro per considerare l'oggetto non come un ente dotato di proprietà
indipendentemente dal soggetto conoscente ma come l'effetto della costruzione teorica
(Malighetti 2008).
Da questa prospettiva il lavoro sul campo perde le connotazioni scientistiche di
contenitore generico, oggettivo e neutro, indipendente dalle pratiche del ricercatore e
dalle relazioni che è in grado di stabilire con gli interlocutori. Il campo emerge come
l'effetto delle esperienze degli etnografi, il risultato delle reti di significazione tessute dai
ricercatori sulla base di interazioni con gli interlocutori. I dati antropologici diventano
procedure complicate e complesse, “interpretazioni di interpretazioni” (Geertz 1973).
Consistono nella trascrizione di ciò che l'etnografo registra, a partire da ciò che è in
grado di comprendere di ciò che gli interlocutori vogliono, o possono, dire, sulla base di
ciò che essi stessi sono in grado di capire (Sperber 1982, p. 26)
Il concetto di oggettivazione, così come è stato elaborato da Geertz (1973, p. 345) e
ripreso da Silvana Borutti Borutti (1999) è uno strumento che permette di pensare lo
statuto epistemologico delle scienze e i loro rapporti (Malighetti 2019). Invita a
interessarsi a come i modelli costruiscano i loro oggetti (Hanson 1958, Black 1962, Kuhn
1962). Promuove una concezione della scienza come fenomeno-tecnica - tecnica per la
produzione di fenomeni, secondo l’espressione di Gaston Bachelard (1940) - e la estende
a tutte le scienze.
Pensare a come il linguaggio costruisca il mondo, non significa negare la realtà del
reale. Al contrario, è proprio la caratteristica “costruita” a garantirne l’esistenza, potendo
identificare gli artefici della costruzione, la dinamica come anche le finalità e gli interessi
implicati:
Ma una sedia è culturalmente (storicamente, socialmente…) costruita, un prodotto di persone
agenti in possesso di nozioni che non sono tutte farina del loro sacco, eppure voi potete
sedervici, essa può essere costruita bene o male, e non può essere fatta di acqua o – con buona
pace di coloro che sono ossessionati dall’ “idealismo” – prodotta direttamente dal pensiero
(Geertz, 1995, p. 76).
Il rapporto fra le scienze
La dimensione multi-paradigmatica e interdisciplinare degli strumenti concettuali
dell’antropologia, le radici scientifiche della disciplina nell'esperienza soggettiva del
lavoro sul campo e nell’attraversamento culturale, trasformano in un grande risorsa quello
che era ritenuto un handicap. L'assunzione dell’opacità, della contingenza e della
precarietà come elementi costitutivi dello sforzo scientifico, trasformano la difficoltà di
codificare un'epistemologia unica e un metodo univoco e fisso, nella possibilità di
decodificare la codificazione stessa.
Il lavoro di campo dimostra che l'oggettività non solo è semplicemente possibile, ma
costituisce un ostacolo allo sviluppo di una scienza realmente "realistica". Ci incoraggia
costantemente a ripensare lo stato scientifico della conoscenza e a problematizzare il
doppio legame tra soggettività e oggettività e, più in generale, le complesse connessioni
tra ricercatore, episteme, metodo, realtà e attori sociali. In questo senso l’antropologia
interpreta il “perpetuo principio di inquietudine” conferito alla disciplina da Michel
Foucault (1966, p.144).
Il concetto di oggettivazione collega il posizionamento e il ruolo attivo dello scienziato
nella costruzione della conoscenza con la non-trasparenza dell'oggetto come condizione
e limite della conoscenza. Propone una riflessione sul dialogo interdisciplinare aperta e
plurale, fondata sulle differenti modalità con cui le scienze costruiscono i propri oggetti.
Roberto Malighetti
Università degli Studi di Milano-Bicocca
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