Zanardi,gli studi empirici e la formula segreta della felicità del professore Leonardo Becchetti
29 ago 2014
Se dovessi sintetizzare le conoscenze e gli elementi di saggezza da trarre in base a decenni di studi sulle determinanti della soddisfazione di vita nelle scienze sociali (economia, sociologia, psicologia) userei tre fotogrammi. L’immagine di un giovane da ore stravaccato sul divano davanti alla tv, quella di un accanito utente di una slot machine davanti alla stessa e quella dell’ex pilota di formula uno ed ora atleta paralimpico Alex Zanardi.
Questi tre fotogrammi e le opportune spiegazioni sono la sintesi migliore per tracciare in linee essenziali le fondamenta umane della felicità. Linee essenziali che sono colte in maniera magistrale da un economista come Tibor Scitowsky e da uno psicologo come Deci. Per Scitotwsy la felicità è composta di due elementi, la socialità intrinseca dell’uomo e la soddisfazione della stessa, e il bisogno di sfide e di stimoli e la loro soddisfazione. Deci arriva più o meno alle stesse conclusioni sintetizzando la felicità in tre parole: relatedness, purposedness e sense of achievement, ovvero relazionalità, avere un obiettivo nella propria vita assieme alla percezione di avvicinarsi alla sua realizzazione nel nostro cammino quotidiano. L’elemento in più se vogliamo di Deci è che ciò che conta è anche l’altezza dell’asticella. Se è abbandonata per terra non c’è obiettivo, ma se è troppo alta l’obiettivo diventa frustrante e viene meno la possibilità di avvicinarsi alla sua realizzazione. Ciò non vuol dire che le sfide, per non diventare temerarie, non debbano essere esigenti e sfidanti. Allenandoci ogni giorno l’asticella può essere progressivamente alzata dandoci la soddisfazione del percorso realizzato.
L’esempio di Zanardi sintetizza tutti questi elementi. Zanardi è un pilota di formula uno di media bravura il giorno in cui resta vittima di un terribile incidente in cui perde entrambe le gambe arrivando all’ospedale con un solo litro di sangue. Si salva miracolosamente e ricostruisce una vita completamente diversa, trovando nuove sfide nello sport paralimpico di cui diventa campione. Divenuto progressivamente un simbolo e un testimonial, fonda un’associazione che si propone di fornire anche ai disabili meno fortunati gli stessi supporti tecnologici che hanno consentito a lui di vivere nuove sfide. Sono rimasto impressionato dalla sua ultima intervista dove a 47 anni parla del suo prossimo traguardo di correre una massacrante prova di thriatlon, delle sue iniziative di solidarietà e arriva ad affermare che la sua tragedia è stata una grande opportunità per la sua vita.
Nella vita di Zanardi c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno per le fondamenta umane della felicità: darsi degli obiettivi sfidanti, avvicinarsi con sforzo ed impegno ogni giorno al loro raggiungimento e vivere appieno la nostra relazionalità impegnandosi per dare dignità a chi è meno fortunato di noi. Tutto questo associato alla capacità di non piangersi addosso per i vincoli che la vita ci impone e all’intelligenza di usare gli stessi come nuovo trampolino di lancio. Da una terribile tragedia Zanardi ha saputo rendere la sua vita incredibilmente fertile e generativa. La sua storia ci dice che tutti possono e devono darsi un obiettivo compatibile con i vincoli e le capacità del momento. Per un giovane l’obiettivo sarà correre una maratona per un novantenne fare cinque minuti in più di camminata veloce quotidiana.
E gli altri due fotogrammi ? Abbiamo lasciato i loro protagonisti davanti alla macchinetta e sul divano a schiacciare i bottoni di un telecomando. Da notare che le coordinate che di solito consideriamo importanti per la felicità ci danno in questi casi riferimenti totalmente sbagliati. I nostri due “antieroi” hanno tutto quello che oggi viene considerato massimamente importante (denaro e salute) ma questo non basta se si diventa poi vittime di beni di comfort e di dipendenze che impediscono ciò che veramente conta nella nostra vita. Impegnarsi in delle sfide ed essere generativi verso i nostri simili.
Su queste fondamenta si innesta, per chi ha il dono della fede, la profonda consolazione dell’incontro con un Padre che ci ama e che ci suggerisce la sfida generativa di entrare in relazione con i nostri prossimi, con una particolare attenzione agli ultimi che più hanno bisogno di quel recupero di dignità che può renderli liberi e capaci di donare. Per chi trova il senso della propria vita nell’impegno e nel dono per gli altri sfida e relazionalità coincidono.
Sembra facile dunque ma non lo è affatto. Soprattutto per questa generazione sdraiata e stordita dalle luci dell’immenso varietà massmediologico e da quel buffo Olimpo di personaggi capricciosi che popolano le copertine dei nostri rotocalchi. Generazione che, inabituata ad approfondire e riflettere e distratta da suoni e colori, trova più comodo fermarsi alle allettanti insegne del primo incrocio della vita. Ma più lontano da quelle luci una voce interiore ci continua da sempre a suggerire in ciascuno di noi di non accontentarci e di darci nuove sfide. Chi ha la forza e la pazienza di seguirla non sarà deluso. (uscito giovedi 28 Agosto su Avvenire)
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