Chiesa e migrazioni di Alfredo Mantovano

Chiesa e migrazioni

di Alfredo Mantovano - presidente della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che soffre

Nel Magistero e nella tradizione della Chiesa la cura e la pastorale dei migranti hanno sempre occupato un posto significativo. Il Magistero ha più volte esortato, nel rispetto della dignità di ogni persona, a non sovrapporre — per quanto possibile — le differenti figure del migrante e del rifugiato. Di ritorno dal viaggio in Svezia, colloquiando con i giornalisti sul volo Malmö-Roma il 1° novembre 2016, Papa Francesco ha ricordato che «si deve distinguere tra migran­te e rifugiato. Il migrante dev’essere trattato con certe regole perché migrare è un diritto ma è un diritto molto regolato. Invece, essere rifugiato viene da una situazione di guerra, di angoscia, di fame, di una situazione terribile e lo status di rifugiato ha bisogno di più cura, di più lavoro»[1]. Nelle sue parole non vi è l’apertura indiscriminata che una lettura strumentale propaganda. Vi è anzi l’esigenza che, una volta accolto il profugo, vi sia uno sforzo serio teso alla sua integrazione: «Credo che in teoria — ha aggiunto nella stessa occasione — non si possa chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti [...] di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più». La prudenza diventa così il faro per orientare su questo terreno; la prudenza, sottolinea il Papa, non la paura. Quest’ultima è «[...] il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere». Come esempio concreto di «prudenza», ripartendo da uno Stato che da sempre è fra i primi nell’accoglienza dei rifugiati — nel 2015 terzo in Europa in cifre assolute, con 162.550 domande di asilo presentate, dopo la Germania e l’Ungheria — Papa Francesco ha citato «un funzionario del governo svedese» che gli aveva descritto «[...] qualche difficoltà perché vengono tanti che non si fa a tempo a sistemarli, trovare scuola, casa, lavoro, far imparare la lingua. La prudenza deve fare questo calcolo. [...] io non credo che se la Svezia diminuisce la sua capacità di accoglienza — così conclude il Pontefice — lo faccia per egoismo o perché ha perso quella capacità; se c’è qualcosa del genere è per quest’ultima cosa che ho detto: oggi tanti guardano alla Svezia perché ne conoscono l’accoglienza, ma per sistemarli non c’è il tempo necessario per tutti».

Lo stesso Magistero esorta a prestare attenzione ai bisogni materiali, che per i migranti vanno dalla primissima accoglienza agli interventi sanitari, dalle necessità alimentari e di vestiario alla disponibilità di alloggi; ma invita a non dimenticare altre esigenze. Uno dei profili più significativi della tragedia di chi fugge da persecuzioni e da guerre è costituito dalle famiglie:

— che si ritrovano dimezzate o diminuite nel numero dei propri componenti a seguito delle morti per atrocità nei luoghi d’origine o durante la fuga;

— che si dividono, pur se desiderano stare insieme, alcuni rimanendo nella zona di provenienza e altri tentando la fuga;

— che si dividono talora per la materiale impossibilità di continuare a convivere, poiché violenza e persecuzione abitano nella famiglia di origine, per esempio con l’imposizione di un matrimonio non voluto o di pratiche religiose e pseudo-tradizionali ostili alla più elementare dignità umana;

— che hanno difficoltà, una volta raggiunte terre più tranquille, a mantenere quella pratica religiosa e quello stile di vita che seguivano prima delle persecuzioni o delle guerre.

Proprio perché cibo e alloggio non esauriscono le necessità, un terreno di aiuto concreto, superato quanto serve per la sopravvivenza, è ricomporre — per quel che si può — il nucleo familiare, facendo in modo che i componenti di una famiglia proseguano a vivere nel medesimo luogo, e magari vengano raggiunti da chi è rimasto. Le varie realtà ecclesiali, se ancora sopravvivono nei luoghi nei quali si combatte e dai quali si fugge — quasi sempre restano fino all’ultimo — sono fra le più capaci di tenere vivi questi legami, mentre le realtà ecclesiali operanti in Occidente possono concorrere a far ritrovare gruppi familiari dispersi. A fianco di ciò vi è l’esigenza di sostenere moralmente e spiritualmente chi ha vissuto e vive una esperienza così carica di sofferenza. Compete anzitutto ai cristiani di qui e alle nostre comunità ecclesiali farsi carico di questa situazione: il lavoro è in qualche modo più agevole se il migrante proviene da aree cristiane; se proviene da altre zone, la proposta — non certo l’imposizione — della speranza fondata su Cristo farà guardare al futuro in modo diverso e positivo.

Ciò è tanto più necessario allorché le famiglie dei migranti s’imbattono in leggi e costumi antitetici ai loro: la testimonianza e la cura dei cristiani che accolgono in Europa e in Occidente possono vincere le diffidenze di chi lascia una persecuzione cruenta e materiale e rischia d’imbattersi in una persecuzione incruenta e ideologica; vi è una differenza fra le due, ma riguarda il modo dell’o­stilità, non l’esistenza dell’ostilità verso i cristiani. Una pastorale diffusa e omogenea per questa fascia di persone, che cresce di numero e che mostra necessità anche in senso lato culturali e spirituali, è indilazionabile. Di fronte a una fede cristiana che in Europa e in Occidente incide sempre di meno nella vita quotidiana, la testimonianza di chi per quella fede ha perso familiari e beni, lavoro e patria ottiene più effetti immediati: è di esempio e di sprone per ciascuno di noi, che vive qui; illumina su quanto sia vicino il rischio di perdere la nostra libertà religiosa, e sulla necessità di non tardare nello scongiurarlo; è di conforto a queste persone, poiché permette di dare un senso al loro sacrificio; in qualche modo, capovolge la logica: non sono loro a dover ringraziare noi che li accogliamo, ma noi a essere grati a chi oggi — nonostante tutto — è stato disposto a lasciare tutto pur di mantenere la fede.

 

[1] Francesco, Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dalla Svezia, del 1°-11-2016, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 2/3-11-2016. Tutte le citazio­ni senza riferimento rimandano a questo testo.

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